Autore Topic: Copre una veranda in area sottoposta a vincolo paesaggistico [Casa e Condominio]  (Letto 893 volte)

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Offline ninfea

Copre una veranda in area sottoposta a vincolo paesaggistico:
giocata senza successo la carta dell’“abuso minore”

 

Riguardo agli abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione all’attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e l’incidenza della condotta medesima sull’assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall’amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito. È quanto stabilito dalla Cassazione nella sentenza 7343/14.

Il caso

La Corte d’Appello di Cagliari confermava la sentenza di condanna del locale Tribunale a carico di un uomo per il delitto di cui all’art. 181, co. 1-bis, d. lgs. n. 42/2004, per aver realizzato, in assenza di preventiva autorizzazione paesaggistica, la copertura di una veranda in area sottoposta a vincolo paesaggistico. L’imputato propone ricorso in Cassazione, sostenendo che l’opera realizzata, di recupero e risanamento, non avrebbe inciso negativamente sull’assetto del paesaggio. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, sulla base di una preventiva esposizione delle principali norme in materia. In primis, ritiene opportuno ricordare che il reato di cui all’art. 181 d. lsg. n. 42/2004 è un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione ed eseguito in assenza o in difformità delle prescritte autorizzazioni. L’individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta ad accertare se quanto realizzato sia astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato. Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, secondo la quale è il giudice penale che deve accertare in concreto l’offensività della singola condotta. Se questa non pone a repentaglio il bene tutelato si verte in tema di reato impossibile ex art. 49 c.p. L’assenza del pericolo di lesione deve essere valutabile ictu oculi e, quindi, al di là di ogni ragionevole dubbio. E, infatti, riguardo agli abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione all’attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e l’incidenza della condotta medesima sull’assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall’amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito. Pertanto, il reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consista nell’esecuzione di interventi senza autorizzazione mentre non è punibile solo nell’ipotesi di interventi di minima entità, inidonei a pregiudicare il paesaggio. Se l’intervento è realizzato, l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria. Gli Ermellini precisano che non è inoffensiva quell’opera che, indipendentemente dalle dimensioni, per il solo fatto di essere realizzata in un’area protetta, ne determina inevitabilmente una sua modifica. E, tra l’altro, l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. Tutt’al più, nel caso in cui venga accertata la compatibilità paesaggistica dell’intervento, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. In conclusione, il Supremo Collegio rigetta il ricorso, escludendo che possa parlarsi, nel caso di specie, di “abuso minore”. Le opere realizzate presentavano un’intrinseca obiettiva incidenza sull’assetto territoriale, potendosi ritenere configurato il reato contestato, stante l’assenza di idoneo titolo abilitativo.



Fonte: www.dirittoegiustizia.it
                                  
 


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