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Chi l'ha detto che "musica" non può fare rima con "ideali"? I nostri libri di storia raccontano di ballate e manifesti musicati che hanno accompagnato gli uomini sui campi di battaglia e di canzoni che sono diventate colonne sonore di grandi proteste. Con la musica sono stati osannati i nomi dei potenti della storia. Con la musica si è cercato di dimenticarli. E se nel passato si è lasciato che la censura decidesse a chi dare libertà di parola e a chi toglierla, per fortuna oggi la democrazia è almeno un buon pretesto per parlare di scelte politiche con un sottofondo musicale. E' il caso di Piero Pelù, di Jovanotti e del Ligabue vecchia maniera, quelli de "Il mio nome è mai più", tanto per intenderci. Per non parlare dei 99 Posse, di Francesco Guccini, di Giorgio Gaber e di tante altre realtà musicali che convivono oggi, nel pieno rispetto, con l'apprezzata e insostituibile canzone d'amore all'italiana. La premessa ci è sembrata obbligata, visto che "U.D.S. L'uomo della strada", secondo album da solista di Pelù, suona più rock del solito e più mirato a temi politici e sociali di quanto ci aspettavamo. Bush, la Palestina, il G8, le mine antiuomo, potenti della Nazione e della Terra, insomma ce n'è per tutti. Se questi temi non vi infastidiscono, allora è sicuramente il caso che vi avviciniate a questo nuovo lavoro, che lascerà senz'altro il segno, quantomeno nella carriera di Pelù. Tutti i brani sono stati scritti, arrangiati e prodotti artisticamente dal cantautore toscano, che non si è risparmiato nell'offire suoni misti, contaminazioni che evidenziano l'evoluzione di quel Med-Rock (ovvero rock mediterraneo) che caratterizza l'intero disco. Alcuni pezzi nascono costruiti con il Pro Tools, ovvero sulla ripetizione di un riff (ne è un esempio chiaro "Resisti e stai"); altri si avvalgono di 'strumenti' insoliti come ad esempio i fischietti (li trovate in "Raga'n'Roll Bueno"); altri ancora suonano dolcemente metallici (è il caso di "A la vida"). Le percussioni ci raccontano poi scelte etniche e incalzanti, che giustificano la volontà di Pelù di circondarsi di persone come Paolino "Ramingo", ex della Bandabardò (è a loro che abbiamo pensato ascoltando "Stesso futuro"), Vinnie Colaiuta e Frank Caforio dei Supercombo. Se poi aggiungiamo che alla tastiera hanno suonato le mani di Boosta dei Subsonica, tra gli altri musicisti, capiamo anche le scelte più elettroniche, come il già citato uso del Pro Tools. Per concludere con il suono travolgente della tromba di Roy Paci, che fa di "Tacabanda" uno dei brani più belli e coinvolgenti del disco. Mentre un ultimo posto lo riserviamo alla versione tutta alla Pelù di "The girl from Ipanema", ne apprezziamo l'idea dell'omaggio a un brano classico, ma gradiamo meno la comunione tra la voce graffiante dell'artista e le dolci sonorità brasiliane del pezzo. In "U.D.S. L'uomo della strada", inoltre, c'è spazio anche per l'"Amore immaginato", che offre il duetto con l'indonesiana Anggun; per un po' di autobiografia, che troviamo in "Gatte e topi"; e per un reading, che ha trasformato un racconto di Gino Strada intitolato "Pappagalli verdi", in una lettura musicata, accompagnata da un sottofondo arabeggiante, con campionamenti di suoni islamici. "U.D.S. L'uomo della strada" non ha controindicazioni e non va confuso con il manifesto di alcun partito. Questo disco è solo la rabbia musicata di un abitante della strada, che ha scelto di mettere i valori umani al centro del suo pentagramma. La delicatezza degli argomenti, più delle scelte sonore, non metterà, per forza di cose, tutti d'accordo.
http://www.ibs.it/disco/5050466036520/piero-pelugrave/uomo-della-strada.html