Autore Topic: Coniuge deceduto, la moglie diventa madre, ma lui non era fertile [Cittadino e Istituzioni]  (Letto 969 volte)

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Offline ninfea


Coniuge deceduto, la moglie diventa madre, ma lui non era fertile: paternità dissolta


Accolta la richiesta presentata dal genitore dell’uomo. Non regge la tesi della donna, secondo cui il figlio è frutto di una inseminazione artificiale eterologa, voluta d’accordo col marito.


Il caso

Acclarata l’infertilità dell’uomo, l’unica soluzione, per la coppia, è il ricorso alla fecondazione artificiale eterologa. Che si conclude positivamente, cioè con la nascita di un figlio, lieto evento che, però, si concretizza, purtroppo, successivamente alla morte del padre. Ma il quadro familiare viene messo in discussione, su richiesta del nonno paterno, che chiede e ottiene il disconoscimento della paternità attribuita al figlio, oramai defunto. Decisiva la mancata dimostrazione dell’effettuazione, con successo, dell’inseminazione artificiale (Cassazione, sentenza 13217/14).

Nodo gordiano è il fatto che il minore, «nato entro il trecentesimo giorno successivo alla morte del padre», non sia stato «concepito» dalla madre col «coniuge, affetto da impotentia generandi». Tutto ciò spinge il nonno paterno a chiedere il «disconoscimento della paternità» attribuita al figlio, oramai defunto. Ebbene, tale domanda viene accolta: paternità azzerata, quindi. Irrilevanti, per i giudici, le obiezioni fatte dalla donna, che «non aveva mai contestato l’assoluta ed irreversibile infertilità del coniuge» ma «si era limitata a sostenere che la maternità, frutto di un’inseminazione artificiale eterologa» era stata voluta col «consenso» del marito.

Su questo punto, in particolare, i giudici evidenziano che non è stata «offerta una prova convincente di fatti dai quali potesse desumersi il consenso del defunto alla procreazione, ed in particolare del gradimento» con cui l’uomo «avrebbe accolto la gravidanza», anzi dalle parole di alcuni testimoni emerge il «tormento manifestato dall’uomo in ordine all’origine della maternità della donna» e dei conseguenti «dissapori». Secondo la donna, però, il disconoscimento di paternità, deciso dai giudici, è un gravissimo errore.

A sostegno di questa tesi, ella ricorda, in premessa, che «la nascita del minore entro il trecentesimo giorno dalla morte del padre rendeva applicabile la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio», e afferma che «l’onere della prova del difetto di paternità gravava» sul nonno, il quale «era tenuto a dimostrare l’impossibilità della costituzione del rapporto di filiazione». Ma, aggiunge la donna, tale ‘prova provata’ è mancata, «essendo stato prodotto, a conferma della dedotta impotenza del coniuge, un certificato medico molto datato», e, allo stesso tempo, non è stato «offerto alcun elemento a sostegno di un eventuale adulterio» ai danni dell’uomo.

Ogni obiezione della donna, però, anche in Cassazione, cade nel vuoto... Dai giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, arriva la conferma della decisione assunta in Corte d’Appello: ‘certificato’ il disconoscimento di paternità. Condivisa la valutazione relativa al ‘peso specifico’ attribuito alla «impotentia generandi del genitore anagrafico», circostanza, questa, mai contestata dalla donna. Assolutamente non discutibile, chiariscono i giudici, la «portata decisiva dell’accertata incapacità di generare» dell’uomo, che, «in quanto assolutamente incompatibile con la sussistenza del rapporto di paternità biologica tra il nato ed il coniuge della donna», è «sufficiente ad escludere la necessità della prova di altri fatti o circostanze». Anche, anzi soprattutto, tenendo presente che è mancata la attestazione della «riconducibilità del concepimento del minore ad un intervento di inseminazione artificiale».



Fonte: www.dirittoegiustizia.it
                                  
 


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