Autore Topic: Perché dire la verità se non si è obbligati a farlo? [Responsabilità e Sicurezza]  (Letto 957 volte)

Descrizione:

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline ninfea


Il delitto di falsità ideologica, commessa dal privato in atto pubblico, ex art. 483 c.p., sussiste solo quando l’atto pubblico, in cui è stata trasferita la dichiarazione del privato, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all’atto-documento, in cui la sua dichiarazione sia stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente. Lo stabilisce la Cassazione nella sentenza 18279/14.


Il caso

La Corte d’appello di Cagliari condannava un uomo, imputato per i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, ex art. 483 c.p., per aver falsamente attestato che le scritture contabili della società fallita erano andate distrutte in seguito ad un’alluvione. L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di aver ritenuto sufficiente, in riferimento alla bancarotta documentale, il dolo generico, mentre, a suo giudizio, sarebbe necessario quello specifico, per cui l’agente dovrebbe porre in essere la condotta allo scopo di recare danno ai creditori, oppure per cagionare a sé o ad altri un profitto ingiusto. Inoltre, lamentava la violazione dell’art. 483 c.p., in quanto il delitto di falsità ideologica è relativa a dichiarazioni che confluiscano in atti pubblici destinati a provare i fatti in essi attestati. Questo non era il suo caso, perché una falsa dichiarazione di distruzione dei documenti contabili, anche se resa a pubblico ufficiale, non ha funzione certificatoria.

Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che il delitto di falsità ideologica, commessa dal privato in atto pubblico, ex art. 483 c.p., sussiste solo quando l’atto pubblico, in cui è stata trasferita la dichiarazione del privato, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all’atto-documento, in cui la sua dichiarazione sia stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente. Nel caso di specie, la dichiarazione di distruzione della documentazione, resa dal privato alla polizia, non era destinata a provare la verità dei fatti attestati, in quanto a tale dichiarazione l’ordinamento non ricollegava alcun effetto giuridico specifico. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annullava, senza rinvio, la sentenza impugnata in riferimento al delitto, di cui all’art. 483 c.p., perché il fatto non sussisteva. Dolo specifico. Riguardo alla bancarotta documentale, invece, i giudici di legittimità ricordavano che, per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. Su questo, la motivazione della sentenza era carente, per cui la Cassazione annullava, con rinvio, la sentenza, limitatamente alla bancarotta fraudolenta documentale.


Fonte: www.dirittoegiustizia.it
                                  
 


Cliccate il BANNER sopra, sarete di grande Aiuto. GRAZIE !