Una centrale nucleare
Il 12 giugno si andrà alle urne per il referendum sul nucleare. Chi l’ha promosso? E qual è l’oggetto della consultazione?
Il referendum, promosso dall’Italia dei Valori, chiede di abrogare parte del decreto voluto nel 2008 dal governo Berlusconi. In sostanza, come nel 1987, punta a bloccare la costruzione di impianti nucleari in Italia: se la consultazione raggiungerà il quorum, la vittoria dei sì significherà il no a nuove centrali.
Cosa è cambiato da allora?La tecnologia nucleare è migliorata?
Sì. Tre delle quattro centrali che furono chiuse allora - Trino Vercellese, Latina e Garigliano (Caserta) - erano di cosiddetta «prima generazione». La centrale di Piacenza, entrata in funzione nel 1981, era già di seconda generazione, più sicura e potente. Le centrali in progettazione e costruzione oggi, fra cui quelle italiane, sono definite di terza generazione avanzata: prevedono nuovi sistemi di sicurezza passiva, consentono un maggiore sfruttamento del combustibile e una riduzione del volume di scorie a parità di energia prodotta.
Si può sostenere che le centrali di terza generazione avanzata siano più sicure?
Senza dubbio. Secondo gli esperti del settore, con la tecnologia di oggi un incidente simile di Cernobyl del 1986 non ha alcuna probabilità di accadere.
Questo nuovo tipo di tecnologia è in funzione?
Non ancora. Tutti i grandi fornitori di tecnologia nucleare (Areva, Westingouse, General Electric) stanno costruendo centrali per il mondo. A Flamanville, in Francia, c’è il cantiere di un impianto partecipato da Enel ed Edf, il consorzio che si candida a realizzare almeno due delle possibili quattro centrali italiane.
Le centrali emettono emissioni radioattive nell’aria?
Sì, ma in quantità infinitesimali. Basti pensare che le dosi di radioattività assorbite da chi lavora negli impianti non sono superiori a quelle che noi tutti assorbiamo per cause naturali. I piloti e i cosiddetti «frequent flyer» sono sottoposti ad uno stress radioattivo molto più alto. Inoltre i reattori non emettono né anidride carbonica né altre sostanze inquinanti tipiche degli impianti a combustibile fossile.
E le scorie?
La vera fonte di inquinamento delle centrali sono i rifiuti radioattivi, classificati in tre categorie. Quelli pericolosi sono i rifiuti di terza categoria, ovvero le barre di combustibile che restano radioattive per migliaia di anni. Sistemate in grandi piscine d’acqua, perdono il 99% della carica radioattiva in un anno.
Quante scorie produce una centrale di terza generazione? E dove vengono stoccate?
Una centrale EPR produce ogni anno nove metri cubi di rifiuti di terza categoria. In Francia i rifiuti vengono inviati a impianti di «riprocessamento» che separano gli elementi più radioattivi. Altrove le scorie sono stoccate in gallerie sotterranee.
I sostenitori del no dicono che le centrali di terza generazione siano molto costose. E’ vero?
E’ certamente un investimento complesso: un impianto EPR da 1600 megawatt, simile a quello in costruzione a Flamanville, costa circa quattro miliardi di euro e richiede dai cinque agli otto anni di lavoro.
Se il referendum non avrà successo, quando si saprà dove verranno costruite le centrali?
Una volta insediata l’Agenzia per la sicurezza nucleare, entro la fine di quest’anno dovrebbero essere indicate le aree.
E quali potrebbero essere?
Quelle «papabili» sono le stesse nelle quali già sorgevano gli impianti. A queste se ne potrebbero aggiungere altre: dal Veneto alla Puglia, dalla Basilicata alla Sicilia. Aree idonee esistono anche in Sardegna.
Che criteri devono essere rispettati perché un’area sia considerata idonea?
I criteri sono essenzialmente tre. L’area deve essere pianeggiante, a basso rischio sismico e vicina ad importanti fonti idriche. Per raffreddare il «nocciolo» del reattore sono infatti necessarie grandi quantità d’acqua: la colonna di fumo che sale dai «funghi» delle centrali altro non è che il vapore sprigionato.
Quando potrebbe vedere la luce la prima centrale italiana?
Fra individuazione delle aree, autorizzazioni e realizzazione dell’impianto ci vorranno almeno nove anni. Dunque, se i piani dell’Enel saranno rispettati, nel 2020.