Autore Topic: Così è svanito il sogno del telelavoro  (Letto 416 volte)

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Offline ninfea

Così è svanito il sogno del telelavoro
« il: Febbraio 26, 2013, 13:47:54 pm »

Era la frontiera dell’innovazione, ma in Italia non è decollato.
E ora ci ripensa pure Silicon Valley



Giuseppe Bottero


Ci eravamo illusi di poter barattare il completo formale con un pigiama, il traffico delle otto di mattina con un’ora in più sonno, le riunioni infinite con una pausa caffè con la vicina di pianerottolo. Un sogno per nove italiani su dieci, che alla prova dei fatti si è dimostrato irrealizzabile. Il telelavoro, che si sta eclissando anche nella iper tecnologica Silicon Valley - il nuovo Ceo di Yahoo! ha deciso di eliminarlo, portando tutti i dipendenti in ufficio - in Italia non è mai decollato. 

 

Un errore, probabilmente, perché lontani dalla scrivania, spiega un rapporto di Manageritalia, i dipendenti sono più produttivi e meno stressati. Ma i numeri sono chiari: se nell’occupazione in Europa l’Italia è tra gli ultimi posti, nel telelavoro le cose vanno ancora peggio. Chi lavora da casa, armato solo di pc e collegamento internet, rappresenta il 3,9 per cento degli occupati, mentre la media tra i Ventisette supera l’8 per cento, con picchi del 16 per cento in Danimarca. 

I motivi del ritardo? Un sistema economico fatto soltanto da piccole aziende, ritardi tecnologici, norme inesistenti. Da anni, ragiona il presidente di Manageritalia Guido Carella, «ci sono tutte le premesse perché il telelavoro possa diventare il “cavallo di troia” per imprimere un forte cambiamento al mondo del lavoro: aumentare produttività e competitività, rendere i compiti più piacevoli e migliorare la conciliazione con la vita privata. Un salto culturale che i dirigenti auspicano e che dovrà partire proprio dalla capacità loro e di tutto il sistema di lavorare sempre più per obiettivi, valutare le persone non sul controllo fisico, ma sui risultati raggiunti e quindi valorizzare il merito». 

Per ora, però, l’Italia è rimasta al palo. L’ostacolo maggiore, spiega Domenico De Masi, professore di Sociologia del lavoro all’università La Sapienza di Roma, sta proprio nell’arretratezza di troppe imprese e dalla mancanza di regole: «Il telelavoro c’è già, esiste e fa parte della vita quotidiana di tanti di noi, ma non ci sono regole formali che lo istituzionalizzino- dice-. L’azienda, che è stata uno dei maggiori driver degli ultimi cento anni, è oggi il grumo più invincibile di conservatorismo». 

Secondo un dossier di Astraricerche, il timore più grande, per gli imprenditori, è la perdita del controllo sui dipendenti. Seguono la mancanza di incentivi da parte dello Stato, lo scarso entusiasmo dei sindacati e infine la mancanza di infrastrutture tecnologiche. 

È il caso di Cecilia Felici, «personal planner» che offre servizi di segreteria on line, costretta ad affrontare un trasloco faticoso- e costoso- perché nel suo ufficio romano la connessione Internet funzionava a singhiozzo. E così per decine di «wwworkers», i lavoratori della Rete che si sono uniti per mandare un messaggio al prossimo governo: «In Italia i lavoratori digitali sono 700 mila, ma vengono ancora trattati come misteriosi innovatori. Creano oltre il 2% del Pil, ma sembrano ancora invisibili», si legge nell’appello pubblicato on line alla vigilia del voto.

Si parla di decentramento, responsabilità diffusa, autonomia. Per ora, un miraggio. «Il telelavoro - dice Chiara Cornelli, responsabile delle risorse umane di Amgen Dompé - si basa anche su un rapporto fiduciario tra azienda e dipendente». Che troppo spesso, invece di barattarli, finisce per indossare vestiti eleganti e pigiami contemporaneamente, pronto a sfilare la giacca non appena il capo abbassa lo sguardo.

                                  
 


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