Michela Murgia, con Accabadora (Einaudi) ha vinto il Premio Campiello 2010, edizione n. 48.
La scrittrice con 119 voti su 300 ha battuto gli altri quattro finalisti Gad Lerner, Antonio Pennacchi, Gianrico Carofiglio, Laura Pariani.
'Dedico il mio premio non alla Sardegna che in questo momento non ne ha bisogno - dice Murgia -, ma a Sakineh, la giovane donna iraniana condannata alla lapidazione'.
Wikipedia:
Femmina accabadora
Con il termine sardo femmina accabadora (s'accabadóra, lett. "colei che finisce", probabilmente dallo spagnolo acabar, "finire", "terminare") si soleva indicare una donna che uccideva persone anziane in condizioni di malattia tali da portare i familiari a richiedere questo servizio di eutanasia. Non c'è unanimità sulla storicità di queste figure, molti antropologi non ritengono infatti siano realmente esistite; in ogni caso si esclude che il fenomeno si sia sviluppato nell'intera Sardegna (avrebbe riguardato alcune subregioni come Marghine, Planargia e Gallura) (vedasi «La mia Sardegna arcaica» in Gazzetta di Parma di giovedì 22 luglio 2010, p. 5).
La pratica non doveva essere retribuita dai parenti dell'anziano poiché il pagare per dare la morte era contrario ai dettami religiosi e della superstizione.
Diverse sono le pratiche di uccisione utilizzate dalla femmina accabadora: si dice che entrasse nella stanza del morente vestita di nero e con il volto coperto, e che lo uccidesse tramite soffocamento con un cuscino, oppure colpendolo sulla fronte tramite un bastone d'olivo (su mazzolu) o dietro la nuca con un colpo secco, o ancora strangolandolo ponendo il collo tra le sue gambe.
Si hanno prove di pratiche della femmina accabadora fino a pochi decenni fa.[senza fonte] Una delle teorie per giustificare questo tipo di pratica è basata sulle difficoltà di spostamento e di sussidio nei tempi passati, per cui nei paesi isolati e molto distanti da qualsiasi ospedale la famiglia di un soggetto anziano non autosufficiente e quindi in bisogno di cure assidue avrebbe avuto numerosi problemi ad assisterlo, dal momento che il lavoro agricolo era l'unica loro possibilità di sussistenza.
Alcuni autori, fra cui l'Alziator, descrivono come strumento principale dell'accabadora non una mazza ma un piccolo giogo in miniatura, da poggiare sotto il cuscino del moribondo al fine di alleviare la sua agonia. Questo si spiega con uno dei motivi principali per cui si credeva che un uomo fosse costretto a subire una lenta e dolorosa agonia in punto di morte: se lo spirito non voleva staccarsi dal corpo era palese la colpa del moribondo, il quale si era macchiato di un crimine vergognoso, aveva bruciato un giogo, o aveva spostato i termini limitari della proprietà altrui, oppure aveva ammazzato un gatto.
Altro rito che veniva compiuto era quello di togliere dalla stanza del moribondo tutte le immagini sacre e tutti gli oggetti a lui cari: si credeva in questo modo di rendere più semplice e meno doloroso il distacco dello spirito dal corpo.
Secondo le riflessioni dell'Alziator il compito dell'accabbadora non è tanto quello di mettere fine nel senso letterale del termine alle sofferenze dei moribondi con l'utilizzo di uno strumento palesemente inquietante, quanto quello di cercare di accompagnarli alla fine della loro agonia tramite riti di cui si è sicuramente persa la memoria. Tuttavia lo stesso studioso cagliaritano afferma di muoversi nell'alveo della leggenda e non fornisce prove certe dell'esistenza della "femmina".