Chi compra la nuda proprietà di un appartamento alla morte del venditore non diventa automaticamente possessore
Il trasferimento della proprietà può essere disgiunto da quello del possesso. Di conseguenza, l’acquirente di un immobile, qualora voglia avvalersi delle azioni possessorie, è tenuto, in caso di contestazione da parte del convenuto, a fornire la prova di un concreto esercizio del possesso, non essendo a tal fine sufficiente la sola esibizione del titolo di acquisto. Questo è il principio seguito dalla Cassazione nella sentenza 1219/12.
Il caso
Un uomo acquista la nuda proprietà di un immobile. Dopo la morte del venditore vorrebbe poter godere del bene, ma la cosa non sembra possibile. Una delle figlie del de cuius, infatti, sostiene di essere la proprietaria dell’appartamento, tant’è che aveva pure stipulato un contratto di locazione con una donna alla quale aveva ceduto una stanza.
L’uomo decide allora di agire in giudizio chiedendo di essere reintegrato nel possesso del bene, consolidatosi, a suo dire, alla morte del venditore.
Il Tribunale accoglie parzialmente la domanda decidendo per il reintegro del ricorrente nel compossesso.
La sentenza scontenta tutte le parti che propongono appello. La Corte territoriale ribalta il precedente giudizio e, appurato che la presenza nell’appartamento della donna conduttrice della stanza era da collocare in epoca antecedente al decesso del venditore e che l’attore non aveva mai conseguito il possesso dell’immobile, evidenzia come, nel caso di specie, manchino i presupposti per la tutela possessoria.
L’uomo ricorre infine in Cassazione lamentando la mancata tenuta in considerazione da parte della Corte territoriale delle prove testimoniali, da queste sarebbe dovuto emergere il fatto che il ricorrente avrebbe avuto modo di entrare più volte nell’appartamento. Inoltre, a detta dell’uomo, il conseguimento automatico della piena proprietà del bene al decesso del venditore avrebbe dovuto comportare anche l’acquisto di tutte le facoltà a questa connesse, tra cui il possesso.
La proprietà non implica necessariamente il possesso. Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte approfitta per far chiarezza sull’istituto in questione e sulla legittimazione alla tutela.
I giudici, infatti, si premurano di ricordare come sia lo stesso codice a definire «il possesso come un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, accompagnata dall’hanimus rem sibi habendi». Il potere sulla cosa, dunque, presuppone la materiale apprensione unilaterale. Il possesso poi, si può perdere per rinunzia, per subito spoglio o volontaria consegna, per abbandono o perimento o restituzione della cosa.
Da quanto ricordato finora consegue che legittimato alla tutela possessoria sia soltanto il possessore o il detentore qualificato del bene.
La Corte territoriale ha dunque operato correttamente ritenendo che, nel caso specifico, non si è verificata la consegna del bene. Il venditore, cedendo la nuda proprietà, non aveva comunque cessato di possedere l’immobile. Del resto, ben può aversi il trasferimento della proprietà disgiunto da quello del possesso, l’uno non implicando necessariamente l’altro.
Chi propone l’azione a difesa del possesso deve fornire la prova dell’esercizio del potere di fatto.
Infine, la Suprema Corte precisa come «l’acquirente di un immobile – il quale può sempre agire in via petitoria a tutela del suo diritto che assume violato – qualora voglia avvalersi delle azioni possessorie, è tenuto, in caso di contestazione da parte del convenuto, a fornire la prova di un concreto esercizio del possesso». Non è a tal fine però sufficiente la sola esibizione del titolo di acquisto che è soltanto idonea a rafforzare detta prova ad colorandam possessionem e non già a dimostrare il diritto di esercitare siffatto potere.