Autore Topic: ALICE "Viaggio in Italia" 2003  (Letto 900 volte)

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Offline ridethesnake

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ALICE "Viaggio in Italia" 2003
« il: Luglio 15, 2008, 10:27:41 am »
ALICE "Viaggio in Italia" 2003

Citazione
Nell'attesa di un nuovo disco di inediti (l'ultimo, altalenante, "Exit" risale ormai al 1998) Alice ci regala un progetto nel quale si mette nuovamente alla prova come interprete del repertorio altrui. Oltre all'omaggio a Battiato datato 1985 ("Gioielli rubati"), dove giocava in casa, c'era stato l'interessante "God is my DJ" del 1999 nel quale metteva in fila brani di autori (anche molto) diversi accomunati però da una certa attenzione alla dimensione del sacro (espressione vaghissima, mi rendo conto, ma nel disco si passa dai Popol Vuh ad Arvo Part a Battiato a Eleni Karaindrou con grande facilità) nel quale comunque non usciva più di tanto dai recinti (per lei) consueti.
aliceIn questo nuovo lavoro invece si azzarda un pochino di più reinterpretando brani, in gran parte di autori italiani come si evince dal titolo, scelti, più che per la loro fama planetaria o per una qualche vicinanza estetica, in base al piacere e il desiderio dell'interprete di cantarli.
La magia (e che magia!) principale di questo disco sta nell'aver selezionato brani decisamente eterogenei per genesi, atmosfere, arrangiamenti e sensibilità di autori così diversi riuscendo abilmente a ricondurli, sia musicalmente che dal punto di vista della vocalità, ad un insieme estremamente omogeneo e tipicamente appartenente all'universo della cantante forlivese.
E' piacevolissimo, ad esempio, passare dal ripescaggio del degregoriano "Atlantide" (brano ingiustamente dimenticato e che ho sempre reputato tra i più riusciti del cantautore romano), in origine una ballatona e ora portato a sfiorare atmosfere trip-hop, all'elettronica modernissima e ossessiva di "Cosa succederà alla ragazza" dell'ultimo Battisti senza avvertire la differenza dei due universi poetico/sonori ma anzi trovando il tutto molto naturale (mi si consenta però en passant di sottolineare le enormi capacità interpretative di Alice rispetto a quelle "originali" di Lucio Battisti e dello stesso De Gregori).
Il gruppo che si è radunato dietro ad Alice (su tutti i soliti fedeli-alla-linea Francesco Messina e Marco Guarnerio) è riuscito in un lavoro di cesello assolutamente prezioso. Ogni brano viene preso in cura e dolcemente traslato nell'universo sonoro che caratterizza Alice da alcuni anni a questa parte (come vogliamo definirlo ? elettro-soft ? sylvian-oriented ? ambient-pop ?) e rivestito di arrangiamenti essenziali ma curatissimi, apparentemente fragili ma solidamente sostenuti anche con l'aiuto di alcuni ospiti di assoluto spessore (la tromba, sempre molto ispirata, di Paolo Fresu, la chitarra elegante di Jakko Jakszyk e poi Michele Fedrigotti, Morgan, Tim Bowness...)

Tra i brani che più guadagnano in questa operazione brillano l'iniziale "Come un sigillo", il cui arrangiamento è molto più curato rispetto all'originale di Battiato e, soprattutto, gode della presenza di musicisti veri a interpretarne lo spartito, l'ottima (e vagamente gaberiana) "La bellezza stravagante" scritta in origine da Ivano Fossati, la celeberrima "Auschwitz" in una versione solenne che sembra aver metabolizzato l'insegnamento dei CSI nel coverizzare Guccini (qualcuno ricorderà la loro "Noi non ci saremo"), l'elegantissima e minimale versione, peraltro già nota, di "E' stato molto bello" (altro capolavoro misconosciuto recuperato in questo disco), il commovente testamento di Giorgio Gaber "Non insegnate ai bambini" (forse la prova più difficile del disco dal punto di vista dell'arrangiamento e dell'interpretazione dovendosi confrontare con la possente personalità di Gaber).

Meno riuscite, ma comunque non malvagie, la versione space-ambient di "Un blasfemo" (forse si poteva omaggiare De Andrè con qualcosa di più affine alle atmosfere generali del disco) e una interlocutoria, e forse un pizzico fuori luogo, "Islands".

Nota di demerito per la foto di copertina che raffigura una Alice finto-giovane e smagrita accennare un sorriso inquietante verso l'obbiettivo. Mi auguro che, da donna intelligente qual'è, non cada nella trappola (terrificante) del dover apparire bella e giovanile a tutti i costi (now and forever).

Infine una piccola nota sui due brani ("Al principe" e "Febbraio") in cui Mino De Martino mette in musica, con la classe che lo caratterizza, dei testi, splendidi, di Pier Paolo Pasolini. Sono gli unici inediti veri e propri e fanno rimpiangere il ruolo che poteva (e può) avere nella nostra musica un autore come De Martino ingiustificatamente dimenticato (in pratica ha all'attivo un solo disco risalente alla metà degli anni '80) e misteriosamente estromesso da un mercato dove è concesso a cani e porci di incidere dischi che vengono ben presto dimenticati.

Semplicemente un bel disco.
Link di riferimento per l'ascolto e l'acquisto.

Se do da mangiare ad un povero, mi dicono che sono un santo, ma se chiedo perchè quel povero è povero, mi dicono che sono un comunista!



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