Autore Topic: Play.me (ri)prova a lanciare lo streaming in Italia  (Letto 1388 volte)

Descrizione:

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline ninfea

Play.me (ri)prova a lanciare lo streaming in Italia
« il: Marzo 13, 2012, 21:55:40 pm »

C’è un settore a cavallo tra musica e Internet che offre una buona immagine del ritardo tecnologico e culturale dell’Italia nei confronti degli altri paesi occidentali: lo streaming. Da diversi anni, questa modalità di ascolto si è affiancata al download, conquistando i territori del nord-ovest europeo (Scandinavia, UK, Francia, Spagna) e avanzando con forza anche negli Stati Uniti. L’alfiere della rivoluzione si chiama Spotify, ma altri servizi (gli americani Pandora, Rhapsody, Mog e Rdio, il francese Deezer…) stanno contribuendo alla nuova e decisa mutazione delle abitudini musicali contemporanee: il passaggio dal possesso all’accesso, dalla musica acquistata/scaricata a quella noleggiata e fruita via Web. Un passaggio ancora in corso e alimentato soprattutto dalle generazioni più giovani, anche grazie alle funzioni sociali di questi sistemi, che spesso si intrecciano con Facebook, Twitter, il mondo dei forum, creando nuove forme di conversazione e incontro attorno all’esperienza musicale.
 
Seduta in riva al fiume, l’Italia guarda e aspetta. Da un lato, snobbata dagli attori più dinamici del settore, che evidentemente non vedono l’utilità di spendersi in negoziati con le case discografiche per sbarcare nel nostro paese (una ritrosia già incontrata in altri comparti digitali: pensiamo a quanto ci ha messo Amazon per aprire una filiale italiana). Dall’altro, intorpidita da una sorta di indolenza che sembra permeare l’intera popolazione, tanto reattiva quando si tratta di chiacchierare nei bar virtuali di Facebook quanto pigra nell’abbracciare (o anche solo invocare) i cambiamenti più profondi e innovativi che stanno rimodellando la vita nell’evo digitale. Arrancante nella diffusione di banda larga, di wifi, di ebook, di egovernment e più in generale di cultura tecnologica, l’Italia rimane fanalino di coda anche nella musica: con quel 21% occupato dal mercato digitale (dati FIMI), ancora ben lontano dal 32% di media globale (e dal 50% dei paesi più avanzati).
 
Se il panorama è un po’ sconfortante, soprattutto se si considera il divario culturale-tecnologico che rischia di aprirsi tra il nostro pubblico giovanile e quello del resto del mondo (un divario di abitudini, di linguaggio, di mentalità), bisogna però notare finalmente alcuni piccoli segnali di risveglio. Segnali che – nel settore della musica digitale – sono rappresentati dall’apertura e dal rafforzamento di un paio di servizi – legali al 100% - che cercano di diffondere anche in Italia la possibilità dello streaming. In particolare, Deezer e Play.me. Il primo è un sistema francese che ha da poco ampliato le sue operazioni su scala globale e di cui ci occuperemo in futuro. Il secondo è invece un servizio italiano che – passato attraverso ad alcune vicissitudini societarie (di recente è stato venduto da Dada e rilevato da Buongiorno) – si ripresenta oggi sul mercato in una nuova veste, ancora in fase di perfezionamento ma dall’aspetto già interessante.
 
Partiamo dai soldi. Una delle grandi novità dello streaming, rispetto al download da negozi come iTunes, è il passaggio dall’acquisto unitario di canzoni (0,99€ a brano) al pagamento di un abbonamento mensile per l’ascolto dell’intero catalogo. Play.me si allinea alle strategie dei maggiori competitor internazionali, proponendo due fasce di prezzo. L’opzione “Ascolta” costa 4,99€ e permette lo streaming illimitato del catalogo via Web (più dieci MP3 in download). “Scarica e ascolta” costa 9,99€ e oltre allo streaming illimitato offre venti download gratuiti iniziali più altri quindici ogni mese. “Ascolta Plus” costa sempre 9,99€ e offre venti download iniziali più lo streaming illimitato sia via Web che sugli smartphone (attraverso applicazioni compatibili con iPhone/iPad e Android). Lasciando da parte l’esca dei download bonus, con lo streaming cambia dunque l’intera esperienza musicale: non si paga più un tot a canzone, ma una quota fissa mensile per ascoltare il catalogo del servizio, quando si vuole, dove si vuole, anche su smartphone (“Ascolta Plus”). Come detto, l’attenzione si sposta dal possesso della musica all’accesso alla musica.
 
Dal punto di vista dell’interfaccia tecnologica, ciò che salta subito all’occhio rispetto alla precedente incarnazione di Play.me è il tentativo di accorciare le distanze con i rivali. In confronto all’esperienza di gestione e ascolto sulla precedente versione, che era nettamente meno piacevole e intuitiva rispetto a quella del più importante termine di paragone internazionale (Spotify), il nuovo Play.me ha compiuto passi da gigante. Sia su pc, dove è stata sviluppata una piattaforma nuova di zecca, basata su HTML5, che riconosce il sistema operativo e il browser del tuo computer e si adatta di conseguenza. Sia nella dimensione mobile, con una app (io ho provato quella per iPhone) che non solo permette una intuitiva ricerca delle canzoni e degli album desiderati, ma si sincronizza automaticamente con le tue playlist. L’ascolto è fluido, i brani si caricano velocemente e si aggiungono altrettanto rapidamente alle varie playlist.
 
La gestione delle playlist è un aspetto importante. La chiave del successo dello streaming sta proprio nella creazione di un database personale in cui l’utente archivia i propri album preferiti e crea un numero illimitato di playlist a seconda dei propri gusti. L’idea è che tu non possiedi più la musica, ma la chiave d’accesso alla musica. E questa chiave sono proprio le playlist, che rimangono nella memoria del servizio. Ogni volta che ti colleghi, le ritrovi lì. La sincronizzazione tra Web e mobile fa sì che queste playlist ti seguano ovunque: a casa, quando accedi alla piattaforma web del servizio. E sullo smartphone, quando magari ti trovi in vacanza o in trasferta di lavoro e non hai a disposizione un pc ma una buona rete wifi (il servizio funziona anche in 3G, ma naturalmente si devono considerare i costi del proprio contratto telefonico di traffico Web: lo streaming prevede un flusso continuo di dati e rischia quindi di essere piuttosto oneroso).
 
In quanto al catalogo, al momento Play.me offre sei milioni di canzoni. Sembra un numero gigantesco: per ascoltarle tutte, bisognerebbe stare collegati ininterrottamente per una quarantina d’anni. Senza dormire mai. In realtà, è uno dei parametri che più si distacca dalla concorrenza: Spotify viaggia intorno ai quindici milioni, sul fronte download iTunes ha superato i venti milioni. Play.me dovrà irrobustire il catalogo, perché per il successo dei servizi in streaming è decisiva la percezione dell’utente di trovarsi di fronte a un catalogo universale. Ogni piccola lacuna, ogni brano o artista non disponibile, è il granello di sabbia che rischia di inceppare il meccanismo e spingere il pubblico altrove. C’è comunque da dire che già così il grado di soddisfazione è alto e si nota un buon equilibrio tra l’impero major e la galassia indipendente. Tanto per rimanere in Italia, ci si può tranquillamente costruire una playlist con i brani dell’ultimo festival di Sanremo (o ascoltare quella preconfezionata offerta da Play.me), così come trastullarsi con il migliore nuovo indie autoctono (da Maria Antonietta a Carlot-ta, da Colapesce a Brunori, da I Cani agli A Toys Orchestra, da Dente a Le Luci della Centrale Elettrica).
 
Rispetto al totem Spotify, a Play.me manca ancora qualcosa. In termini di catalogo, come si è detto, e alla voce social, dove il meccanismo di condivisione delle playlist del servizio svedese appare più efficace e coinvolgente rispetto ai già interessanti strumenti proposti da Play.me (tra cui la possibilità di informare gli amici di Facebook sui propri ascolti). Inoltre, nella modalità smartphone è assente l’opzione “cache”, che permette di salvare sul telefonino un certo numero di canzoni/playlist in modo da poterle ascoltare anche offline (uno strumento in fase di implementazione). Rispetto a Spotify, tuttavia, Play.me presenta un elemento distintivo molto importante, che potrebbe trasformarsi in interessante vantaggio strategico: per ascoltare la musica sul pc non c’è bisogno di scaricare alcun software, tutta l’esperienza viene gestita dal browser web. Questo vuol dire che – muniti di username e password – si può accedere al servizio da qualsiasi computer (mentre per Spotify bisogna utilizzarne uno che abbia installato il software apposito). Per il pubblico italiano poi c’è quell’altra discriminante, ancora più significativa: Spotify non è disponibile, Play.me sì. E sebbene alcune parti vadano migliorate (compresa la pagina degli abbonamenti, ancora in cantiere e poco chiara), l’impressione è che finalmente anche in Italia sia disponibile un buon servizio che rende l'offerta musicale digitale più completa e permette di provare l'esperienza dello streaming.
                                  
 


Cliccate il BANNER sopra, sarete di grande Aiuto. GRAZIE !