Autore Topic: Le videoriprese, non comunicative, non sono intercettazioni ambientali [Responsabilità e Sicurezza]  (Letto 833 volte)

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Le videoriprese, non comunicative, non sono intercettazioni ambientali


In tema di intercettazioni, possono essere acquisite come prove documentali atipiche, le videoriprese non comunicative inerenti ad attività svolte in dimora privata, sempre che sia stata acconsentita l’installazione delle videocamere, e la conseguente acquisizione del materiale probatorio, da parte del proprietario dell’appartamento, ossia del legittimo titolare del diritto, disponibile, alla riservatezza del domicilio. In questi casi, il titolare di tale diritto, rinuncia alla tutela dello stesso in modo consapevole, e perciò non dovrà ritenersi necessaria la preventiva autorizzazione del giudice. E’ stato così deciso dalla Cassazione nella sentenza 25177/14.


Il caso

Il giudice di primo grado assolveva gli imputati per non aver commesso il fatto, poiché le imputazioni, produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, non avevano trovato riscontro, dovendosi ritenere inutilizzabili le risultanze di videoriprese effettuate all’interno di un appartamento.

Nonostante il proprietario del suddetto appartamento, imputato in un procedimento connesso, avesse acconsentito all’installazione delle microtelecamere, su autorizzazione del Procuratore, il giudice di merito riteneva inutilizzabili le riprese perché eseguite entro una dimora privata, comportandone l’illiceità come mezzo di prova. Il giudice di secondo grado riformava però la decisione, condannando gli imputati. I soccombenti ricorrevano quindi in Cassazione, lamentando l’inutilizzabilità delle videoriprese, essendo venuto a mancare il consenso imputati, domiciliato anch’essi presso il suddetto appartamento.

La Corte d’appello aveva rilevato come la tutela dei diritti fondamentali possa venir meno per esigenze processuali probatorie, per cui anche le videoriprese di tipo non comunicativo, in privata dimora, dovrebbero ritenersi valide e lecite, se autorizzate dal giudice con la procedura prevista per le intercettazione, ex art. 266 c.p.p.. Tuttavia, nel caso in esame, il proprietario dell’appartamento, titolare del diritto alla riservatezza del domicilio, aveva autorizzato le riprese, perciò, a fortiori, secondo il Giudice territoriale, non era nemmeno necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Osservava, poi, il giudice che,non essendo stati captati rapporti comunicativi tra i soggetti all’interno dell’appartamento, le videoriprese non potevano essere equiparate alle intercettazioni ambientali, ritenendo ad esse non applicabile la medesima disciplina. Si trattava invece di prova documentale atipica utilizzabile ai sensi degli artt. 191 e 234 c.p.p..

Il giudice di secondo grado, in sintesi, riteneva tutelato il diritto alla riservatezza del domicilio, poiché in quanto diritto disponibile, il legittimo titolare può rinunciarvi, come era avvenuto nel caso di specie, così da non rendere necessaria nessuna preventiva autorizzazione da parte del giudice. La Suprema Corte conferma la ricostruzione del giudice territoriale.

La giurisprudenza di legittimità difatti ha operato, nel corso della propria attività, una netta distinzione tra le videoriprese di atti comunicativi, riconducibili alla disciplina delle intercettazioni, e quelle di atti non comunicativi che, se effettua in ambienti pubblici, non possono equipararsi alle intercettazioni ambientali. Ma ha poi specificato che, qualora le riprese di atti non comunicativi avvengano in luoghi privati, riconducibili al domicilio, e quindi sottoposti alla tutela ex artt. 14 Cost. e 8 CEDU, la tutela del domiciliato ne impedisce la acquisizione e l’utilizzazione. Il Collegio, però, ricorda la possibilità di rinunciare a tale diritto fondamentale, rinuncia che deve manifestarsi attraverso il consenso, da parte del proprietario, all’acquisizione e utilizzazione delle riprese.

L’autorizzazione del soggetto, quindi, fa venir meno ogni profilo di illiceità della prova. La Corte inoltre specifica che, benché gli imputati dichiarassero di dimorare e di avere libero accesso all’abitazione, e che quindi anche loro dovevano ritenersi titolari dello jus excludendi che consegue al diritto di domicilio, era sufficiente l’autorizzazione conferita del legittimo proprietario dell’appartamento e non anche il loro consenso.



Fonte: www.dirittoegiustizia.it
                                  
 


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