Cosa vuol dire viodeogiocare, ai nostri giorni? I più sagaci di certo risponderanno: avviare un pc o console che sia, infilare nel tray dell'unità ottica un supporto (cd, dvd o blu-ray) e, naturalmente, giocare. Tutto vero, per carità, ma ci siamo mai chiesti dov'è che stiamo andando? No perchè da dove veniamo lo sappiamo tutti. Siamo i figli degli anni 70, cresciuti all'endas (prima) o in casa (dopo), muovendo ammassi di pixel su video in bassa risoluzione (anche perchè dell'alta risoluzione non esisteva neanche il termine) tramite l'ausilio di tastiere o joystick e siamo giunti, chi più chi meno, alla vetusta età di 30 o 40 anni senza aver subito turbe o deviazioni mentali a causa del nostro "altamente alienante" hobby: il videogioco.
Adesso però le cose stanno un tantino in maniera diversa.
L'attuale livello tecnologico ha infatti permesso di coronare il "sogno" di qualsiasi videogiocatore della nostra generazione: colmare il gap (immensofino a poco tempo fa) fra il palesemente finto ed il fotorealistico.
Tramite il videogioco, oggi più che mai, l'adrenalina scorre nelle nostre vene curandoci da stress e paranoie derivanti dalla quotidianità della vita. Bullets-rain a profusione contro il mostro di turno, folli corse infarcite di sportellate ed interi mondi, tratti dalla letteratura fantasy, sotto il nostro esclusivo dominio: siamo gli eroi indiscussi del salotto! Ogni tanto proviamo anche a stare dalla parte dei cattivi, cosa c'è di sbagliato? E' per finta, siamo grandi e vaccinati (noi), assolutamente in grado di distinguere (noi) la fotorealistica finzione, alla quale ci abbandoniamo a cuor leggero. Poi spegniamo tutto. E tutto finisce lì.
Non ci passerebbe mai per la testa di riportare nella quotidianità quanto perpetrato a video. Non abbiamo mai lontanamente pensato di procurarci un fucile e fare strage di innocenti, o di metterci alla guida di vetture performanti e correre all'impazzata nei centri abitati mettendo a repentaglio la nostra vita e quella altrui.
Per noi il problema non si pone e ci troviamo straniti persino nell'ipotizzare qualcosa del genere.
Ma facciamo un po' mente locale: chi siamo noi? Abbiamo detto poche righe più su che siamo persone dai 30 ai 40 anni. Siamo persone "formate", perfettamente coscienti delle azioni che compiamo e, soprattutto, delle conseguenze generate dalle stesse.
Cos'è invece il videogioco?
No. Non è l'intrattenimento dei bambini che eravamo all'epoca noi. Non più... non del tutto.
Il medium si è evoluto, è maturo e rivendica lo stesso valore (se non di più) del colossal proiettato nelle sale cinematografiche, tanto a livello di espressione culturale quanto, sempre più di frequente, di espressione artistica.
Mi è capitato spesso, tramite social network, blog e vari forum disseminati nei più reconditi meandri della grande rete, di partecipare a discussioni riguardanti il presunto danno arrecato ai ragazzi di oggi dal videogioco, oggetto di forti critiche da parte di accreditate organizzazioni e comitati, di caratura nazionale ed internazionale.
Ma dov'è che stiamo andando?
Nessun individuo dotato di intelletto può seriamente addurre ai videogiochi (così come alla musica metal, tanto per dirne un'altra), come causa deleterea del profondo disagio che affligge l'odierna società.
Le cause sono altre, molto più scomode da affrontare: la disoccupazione, la crisi della famiglia, la scomparsa dei valori... la progressiva svalutazione della stessa vita umana. Scommettiamo che è più semplice parlare dell'ultimo Medal Of Honor?
Piuttosto, restando in ambito videoludico, il problema è un altro: il medium si è evoluto, il sistema che si deve occupare di indicarne la corretta fruizione no! Chi si occupa in Europa di catalogare e suddividere correttamente, in base alle fasce di età ed in relazione al contenuto, le forme di intrattenimento quali film e videogiochi? Il Pan European Game Information. O più semplicemente PEGI.
Quest'ultimo fa uso di alcuni simboletti che sicuramente ognuno di noi conosce più che bene (sarebbe grave il contrario):
(violenza, linguaggio scurrile, paura, sesso, droga, discriminazione, gioco d'azzardo, online gaming)
(questi non ve li spiego, se non ci arrivate state messi male)
Questo simpatico sistema però, non accompagnato dalla buona volontà dei genitori (che dovrebbero per prima cosa imparare a conoscerlo e poi vigilare sugli acquisti dei propri figli) o dall'applicazione di eventuali sanzioni, anche pesanti, ai danni dei rivenditori qualora vendessero (tanto per fare un esempio) un titolo con rating 18 ad un tredicenne, risulta a conti fatti assolutamente inefficace.
Come ovviare allora alla presunta intossicazione, da overdose di videogames, delle menti "fragili"?
Bisogna fare un passo indietro e tornare alla domanda: cos'è il videogioco oggi?
La risposta a tale quesito va dibattuta seriamente e nelle sedi più appropriate, non solo sui magazines online e sulle riviste cartacee. Bisogna che i governi delle nazioni (e l'Italia fra le tante, anche in quest'ambito, è ovviamente fanalino di coda) si interessino maggiormente a queto medium evoluto, che contribuiscano al suo definitivo sdoganamento (magari incentivandone l'industria), che la si smetta in definitiva di percepirlo come "giochino da bambini". Perchè non lo è affatto, non lo è più. E' un errore imperdonabile sottovalutarlo e declassarlo, per poi magari tirarlo in ballo quando il folle di turno commette qualche insana assurdità: si diviene complici di ogni episodio di violenza di presunta ispirazione videoludica!
E non basta ancora.
Un film ti rende spettatore di una determinata trama, ti mostra situazioni delicate e ricostruzioni di drammi reali che chiunque potrebbe trovarsi a vivere, suscitando emozioni di rabbia, paura, sconforto, gioia, amore, odio.
In un videogioco nessuno è spettatore. Siamo tutti protagonisti, proiettati in una trama che si dipana via via che progrediamo nella storia e, come ormai in ogni titolo tripla A che si rispetti, che muta a seconda delle scelte (anche morali) che siamo chiamati a compiere durante la nostra esperienza di gioco.
Cominciamo con l'attribuire al medium vidoludico il valore culturale che gli spetta, mettiamolo a confronto con le produzioni cinematografiche e saggiamone, a mente aperta, le potenzialità di espressione artistica in esso insite.
Poi torniamo pure a parlare di PEGI... e di come migliorarlo.
Regolamentiamo e non censuriamo. La censura è la mortificazione dell'espressione, la tomba della libertà, la negazione del libero arbitrio donato all'uomo da Qualcuno più grande di lui.
Personalmente, in qualità sia di genitore che di appassionato di videogames, vedrei bene almeno due ratings aggiuntivi, da riservare ai prodotti dai contenuti maggiormente disturbanti: 23 e 28. Naturalmente bisognerebbe vigilare pesantemente affinchè nessun ragazzo/a possa mai accedere al materiale in questione prima del raggiungimento dell'età indicata, multando efficacemente i rivenditori che si rendessero complici di tale trasgressione. Sono pazzo? Parlo di vendita di videogiochi subordinata ad esibizione di regolare documento di riconoscimento? Si ad entrambe.
Il motivo di tale vaneggiamento?
Noi (quelli cresciuti a pane e videogiochi, ormai 30enni o 40enni) giocavamo così:
i nostri figli giocano così:
Anche noi giochiamo così oggi, ma vogliamo davvero sostenere che gli stimoli sensoriali, ai tempi, erano i medesimi di quelli odierni?
Non sta scritto da nessuna parte che ciò che in passato ha funzionato con noi debba per forza funzionare con i nostri ragazzi. Bisogna viglilare, seguire, supportare, sedersi davanti alla Playstation assieme a loro ed indirizzarli verso i prodotti più consoni alla loro età: divertirsi assieme a loro.
E non dimentichiamo che un giro in bici di tanto in tanto, o un paio di calci ad un pallone all'aria aperta, non hanno mai ucciso nessuno.
Ma qui sto parlando di famiglia, nucleo principale (purtroppo in costante decadimento) di ogni società civile ed elemento imprescindibile della stessa.
Fin quando l'istituzione famiglia non ricomincerà a funzionare, ripristinando una scala di valori genuini da tramandare alle future generazioni, sarà inutile continuare a dibattere sulla validità di sistemi analoghi al PEGI così come demonizzare un medium pittosto che un altro: i videogiochi (fini a se stessi) non sono la causa del fallimento sociale!
Torniamo un'ultima volta al fatidico: dove stiamo andando?
Se si continueranno a nascondere all'opinione pubblica, tramortita dall'oppiaceo bombardamento mediatico subìto quotidianamente, le vere problematiche sociali (scomode da discutere e dallo share prossimo allo zero), allora la risposta non potrà che essere: "da nessuna parte".