Autore Topic: Marimuthu e la fabbrica di mattoni  (Letto 491 volte)

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Offline ridethesnake

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Marimuthu e la fabbrica di mattoni
« il: Novembre 21, 2008, 10:19:41 am »
MARIMUTHU, E LA FABBRICA DEI MATTONI.

Sono 40 milioni i baby operai in India!

Come ti chiami? «Marimuthu, figlio di Muriyandi». Da dove arrivi? «Il mio villaggio si chiama Sethur, nel distretto di Vindhuragov» (sconosciuto anche su Google, ndr). Quanti anni hai? «Ne ho compiuti 11». Perché sei qui? «Mio papà lavora alla fabbrica di mattoni, e noi lo aiutiamo».
Noi sta per mamma e i tre fratellini preciserà poi il piccolo Marimuthu in tamil stretto e occhi nero-calamita al volontario della ong indiana Jeeva Jyothi. Con il partner italiano Cesvi è in prima linea per allargare la cerchia degli inclusi nel miracolo economico del Subcontinente. Perché l’India - Paese del boom informatico - che sforna oltre 200mila ingegneri all’anno (più del doppio di Stati Uniti ed Europa) conta anche 380 milioni di analfabeti e il più alto numero di minori occupati: un terzo di tutti i bambini costretti a lavorare si trova proprio in India. Il governo parla di 17 milioni, altre stime arrivano a 40 milioni, ma i bambini che non vanno a scuola sono 100 milioni in India. Nella nuova superpotenza mondiale le leggi che vietano di assumere giovani sotto i 14 anni ci sono (come ci sono quelle contro le discriminazioni di casta) ma la realtà è un’altra: pochi controlli e i genitori poveri sono i primi a spingere i loro figli a lavorare. Anche Marimuthu non aveva scelta: la sua famiglia si è trasferita per la «stagione dei mattoni» in una delle tante fornaci che si trovano alle porte di Chennai, capitale del Tamil Nadu. Sperdute in mezzo alla campagna, sono circondate dai capanni che ospitano famiglie intere dove anche i bambini piccoli lavorano. «Io, i miei due fratelli e mia sorella con una zappa prendiamo la terra, è molto dura, la mischiamo con l’acqua, la sciogliamo, la impastiamo e formiamo dei blocchi. Poi li passiamo ai nostri genitori che mettono l’argilla in stampi e le danno la forma di mattoni, poi li mettono nella fornace. Io spingo anche la carriola per trasportare l’argilla, poi trasporto i mattoni nel deposito». Dodici braccia ma uno stipendio solo: 700 rupie la settimana (neanche 11 euro). Questo tutti i giorni, per 7-8 mesi all’anno, dall’alba fino a quando il sole diventa insopportabile. Ci si ferma soltanto durante il periodo delle piogge: con i fiumi in piena recuperare l’argilla è impossibile. Ma la pausa non coincide con le vacanze scolastiche. «Frequentavo la quarta elementare al mio villaggio, non potevo stare là da solo se i miei genitori dovevano trasferirsi lontano per trovare lavoro» racconta ancora Marimuthu. «Io li aiuto, il mio lavoro è indispensabile per la nostra sopravvivenza, così facciamo più mattoni. Se non lavori non mangi». Un lavoro pesante quello alla fornace, accettato da famiglie indebitate fino al collo. Spiega Stefano Piziali che segue per il Cesvi i progetti di recupero di bambini e bambine sfruttati in Tamil Nadu, anche attraverso tre “Case del sorriso”, centri di accoglienza residenziali per i più piccoli: «I loro datori di lavoro diventano garanti di un debito che non riescono mai a estinguere, così restano vincolati per sempre. E’ un modo per tener buoni i creditori. Pagano il cibo che consumano, la spesa viene decurtata da un salario già bassissimo. E’ una spirale da cui le famiglie, analfabete, non hanno strumenti culturali per uscirne». Anche se la possibilità di trovare lavori migliori e più remunerativi non manca in questo Stato, uno dei più ricchi in India, il più urbanizzato e quello con il più alto numero di imprese, sede di importanti multinazionali come la Hunday. Invece questi nuovi schiavi restano confinati nello spazio vastissimo tra l’economia agricola e quella industriale. E qui, a ridosso dei mulini di riso e delle fabbriche di mattoni, Jeeva Jyothi e Cesvi agiscono. «Abbiamo aperto 7 centri diurni, casette con una, due stanze dove i bambini più piccoli possono stare durante la giornata. Così li teniamo lontani dai luoghi di lavoro. Quando sono in età scolare cerchiamo di portarli alla scuola più vicina ma non è facile. Spesso apriamo nella zona delle fornaci delle “supplementary school”». Marimuthu frequenta una di questa. Fino alle prossime piogge.

Alessandra Muglia - CORRIERE.IT
Se do da mangiare ad un povero, mi dicono che sono un santo, ma se chiedo perchè quel povero è povero, mi dicono che sono un comunista!



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