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Offline ambarambacicicoco

Un libro di Eugenio Bennato: Brigante se more
« il: Novembre 14, 2010, 22:11:43 pm »
Un libro di Eugenio Bennato: Brigante se more
Nella canzone popolare la vera storia della ribellione sudista



E’stato definito “l’inno dei briganti”, e per certi versi anche a ragione. “Brigante se more”, una ballata scritta da Eugenio Bennato e Carlo d‘Angiò nel 1979, commissionata da Anton Giulio Majano per lo sceneggiato Rai “L’eredità della Priora”, è diventata, grazie al passa parola, una sorta di ode “del Sud che non ci sta”, e che in tempi di celebrazioni dell’unità d’Italia, sta lì a raccontare una storia diversa da quella ufficiale. Qualcuno ha perfino adombrato l’ipotesi del plagio, perché la canzone sarebbe stata scritta addirittura nel 1860, con buona pace dei due autori, che hanno seccamente smentito. Questo “inno”, che ai concerti del Taranta Power di Bennato si trasforma in una sorta di sabba collettivo, è diventato adesso anche un libro (Brigante se more, Coniglio editore), nel quale l’autore, lo stesso Bennato, compie un viaggio nella musica del Sud, ripercorrendone le radici e le evoluzioni temporali, che corrono parallele al percorso storico della “ribellione” sudista.

Al fenomeno dell’emigrazione e del brigantaggio Bennato ha dedicato anni di studi, che sarebbe ingeneroso ritenere “condensati” in Brigante se more” ma che comunque, con la disamina degli itinerari musicali che hanno attraversato le terre dei Borboni prima e dei Savoia dopo, riesce a dipingere un quadro esauriente di un fenomeno che, superficialmente classificato come unicamente delinquenziale, ha avuto un suo ruolo ben definito nella cosiddetta “questione meridionale”.

E’ la parte di “storia non ufficiale”, scritta da mille episodi di ribellione, lotta e rifiuto di asservimento ad uno Stato, quello piemontese, identificato come “invasore”. La rivolta contro l’invasione piemontese del 1860 è il punto di partenza dal quale si dipana una storia “altra”, diversa da quella ufficiale, e scomoda, perché di quest’ultima mette in dubbio le verità da sussidiario elementare.

“Oggi Brigante se more si presta a rovinare la festa del 150° anniversario dell’Unità, diciamocelo chiaramente – scrive Bennato - e questo lo può fare perché non è l’inno di una dinastia, ma l’inno dei briganti. Perché non è un canto filo-borbonico. Riscrivere la Storia e onorare i caduti di Gaeta e il comportamento di Francesco e Sofia; rendere giustizia alle migliaia di soldati e contadini fucilati per rappresaglia, analizzare la spoliazione del Sud e le cause della questione meridionale, è un conto. Chiedere la restaurazione del Regno delle due Sicilie e il ritorno dei discendenti della casa reale borbonica è altra cosa, che nessuna mente libera ed equilibrata, e io fra queste, può neanche lontanamente pensare”.

E continua: “L’unità d’Italia è cosa giusta e seria, è …l’abbattimento di tante assurde frontiere che un tempo esistevano. Volerle rialzare oggi sarebbe ridicola follia”. Per questo i suoi briganti di fine Ottocento, Ninco Nanco, Carmine Crocco, Michelina Di Cesare, personaggi che segnarono profondamente le lotte che sarebbero diventate “la questione meridionale", con “le loro grida, che li svincolano da ogni dinastia e li legano alle radici della terra, sono i personaggi giusti per simboleggiare le istanze del presente, per interpretare le speranze e la lotta di tutti gli oppressi, per vivere non fuori dalla realtà, per marciare tra chi cerca di mettersi in cammino per andare avanti nella travagliata e problematica vita contemporanea”.

Difficile – sostiene Bennato - non tracciare un parallelo fra Ninco Nanco ed i suoi epigoni, e i tanti briganti-rivoluzionari del sud del mondo, come Pancho Villa, Emiliano Zapata, Che Guevara. A Ninco Nanco Bennato ha dedicato una ballata: “Sara una spina nel fianco/Ninco Nanco quanno campa/ sarà una spina nel cuore/ Ninco Nanco quanno muore”). “La storia siamo noi”, canta De Gregori. Ma di storie ce ne sono sempre due, quella dei vincitori e quella dei vinti. E quasi mai coincidono.

Eugenio Bennato, con versi, note, e parole scritte, racconta la storia scomoda di una colonizzazione forzata e sanguinaria, contro la quale gruppi di irriducibili ribelli combatterono una battaglia impari. Uno dei personaggi chiave di queste lotte fu il generale contadino Carmine Crocco, “mitico ed inafferrabile guerrigliero, una sorta di Pancho Villa dei peones della Basilicata”. Nelle sue parole, riportate in quarta di copertina, il senso di un orgoglio dell’appartenenza e di una fierezza popolare che condensano, superando tutti i più beceri luoghi comuni, la vera essenza del popolo del Sud.

“Molti si illusero di poterci
usare per le rivoluzioni,
le loro rivoluzioni,
la libertà non è cambiare padrone,
non è parola vana e astratta.
E’ dire senza timore:
“E’ mio” e sentire forte il “mio”,
e sentire forte il possesso
di qualcosa a cominciare dall’anima,
e vivere di ciò che si ama,
vento forte ed impetuoso, che in ogni generazione rinasce.
Così è stato e così sempre sarà”.

L'intellettuale è uno che non capisce niente, però con grande autorità e competenza. (Leo Longanesi)
 


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