La crisi di Monti e dei poli
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ambarambacicicoco:
La crisi di Monti e dei poli
Grandi manovre in vista delle europee
Le parabole della vita possono riservare amare sorprese: repentine cadute dopo straordinari successi. Mario Monti appena nel 2012 era accolto trionfalmente dal presidente Barack Obama negli Stati Uniti e dalla cancelliera Angela Merkel in Germania. I giornali americani lo definivano “il salvatore dell’euro e dell’Italia”, i quotidiani tedeschi “il genero ideale”.
L’economista Monti, alla guida di un governo tecnico voluto da Giorgio Napolitano al posto di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, aveva domato lo spread evitando il collasso dei conti pubblici italiani. Il differenziale tra i Btp decennali italiani e i Bund tedeschi, arrivato fino al picco di quota 570 punti nel novembre del 2011, all’epoca dell’esecutivo Berlusconi, discese via via fino a calare intorno a quota 280. Un miracolo realizzato dal Professore a prezzo di “stangate” su casa, pensioni e salari. Delle manovre economiche “lacrime e sangue” che non piacquero molto né agli italiani né alla maggioranza di larghe intese (Pd, PdL, Udc-Futuro e Libertà-Api), pilastro del suo governo tecnico, perché non riuscirono a combattere né la Grande recessione internazionale né la disoccupazione di massa.
Monti “salì in politica” lo scorso gennaio, fondò Scelta Civica e si presentò alle elezioni politiche di febbraio. Fu una delusione: il Professore puntava al 20% dei voti, ma ne ottenne la metà; mentre Beppe Grillo trionfò con il M5S (diventò il primo partito italiano con il 25% dei consensi); centrosinistra e centrodestra finirono con un testa a testa (il primo finì in testa per un soffio). Il terzo polo di Monti fece flop, sotto la spinta dell’opposizione globale dei cinque stelle. Il Professore non riuscì né ad ottenere un bis a Palazzo Chigi, né ad essere eletto presidente del Senato, né a diventare ministro, agli Esteri o all’Economia.
Accettò tra titubanze, fino ad adesso, di essere il presidente di Scelta Civica, la sua creatura politica formata da un’alleanza tra i cattolici della Comunità di Sant’Egidio e delle Acli (Olivero) , i montezemoliani (Andrea Romano), i dissidenti del PdL (Mario Mauro), i resti dell’Udc (Casini e Cesa). Per nove mesi Monti, non più il Professore, ha retto ai continui contrasti interni tra le diverse anime della sua creatura politica. Adesso ha gettato la spugna: “Non mi occupo più di Scelta Civica”, “le mie dimissioni sono irrevocabili”.
I motivi della rottura sono due: 1) le sue riserve sulla legge di Stabilità economica presentata da Enrico Letta, il suo successore alla presidenza del Consiglio (dubbi, non condivisi, in particolare da Mauro e da Casini); 2) il dialogo avviato (in particolare da Mauro) con il PdL non deberlusconizzato. L’ex presidente del Consiglio rimprovera al Cavaliere e ad Angelino Alfano un europeismo “a corrente alternata, venato da ambiguità” e “che tende a passare dal popolarismo al populismo”. Al suo successore alla presidenza di Scelta Civica indica la strada di “aderire al Ppe”, il Partito popolare europeo composto da forze conservatrici di ispirazione liberale e cristiana.
Lo sfaldamento della trincea del terzo polo, abbandonata da Monti, è al centro di una crisi più generale del centrodestra e del centrosinistra, i due cardini del bipolarismo sul quale si è retta per 19 anni la Seconda Repubblica.
Il PdL da mesi è spaccato tra “falchi” e “colombe” (i primi guidati da Fitto e Bondi, i secondi da Alfano). La rottura è esplosa dal primo agosto, quando Silvio Berlusconi è stato condannato in Cassazione per frode fiscale e si è aperta la strada alla sua decadenza da senatore. I “falchi” sono favorevoli a far cadere Letta, “il governo delle tasse” e della “pugnalata a Berlusconi”. Le “colombe” sono decise ad appoggiare l’esecutivo di grande coalizione sostenuto fortemente dal presidente della Repubblica, per garantire la ripresa economica e dell’occupazione. In tempi brevi, o sulla legge di Stabilità o sul voto al Senato sulla decadenza di Berlusconi, si potrebbe consumare anche la rottura definitiva con la formazione di distinti gruppi parlamentari.
Analoghe le tensioni del Pd, anche se le “turbolenze” sono minori. C’è chi mette sotto accusa la cosiddetta “Alfetta”, il governo Alfano-Letta, dai nomi del presidente e del vice presidente del Consiglio. C’è chi pensa che esista sottotraccia una strategia neo centrista organizzata da Letta (Pd), Alfano (PdL) e Mauro (Scelta Civica) . Rosy Bindi, ex presidente del Pd, ha detto a ‘La Stampa’: “So bene che c’è chi sogna un ritorno al proporzionale per trasformare questo governo in una sorta di operazione centrista e moderata”.
Il congresso sta scuotendo il Partito democratico. Le tensioni sono fortissime. Matteo Renzi, il candidato con il vento in poppa per essere eletto segretario al posto di Guglielmo Epifani, quasi tutti i giorni tuona contro “le ammucchiate” degli esecutivi di larghe intese e in difesa del bipolarismo. Il “rottamatore” della vecchia classe dirigente del partito non nasconde la sua intenzione di puntare a Palazzo Chigi oltre che alla segreteria del Pd. Assicura lealtà a Letta, ma aggiunge: “Il governo va avanti se fa”.
Si stanno cominciando a sciogliere i poli politici: Scelta Civica è la prima aggregazione ad essere colpita dalla crisi, che travaglia anche centrodestra e centrosinistra. L’anno prossimo si voterà per le elezioni europee, questo appuntamento potrebbe essere il primo banco di prova di possibili nuovi assetti politici. La situazione è in grande movimento. Zucchero Fornaciari canta: “Sogno qualcosa di buono…Bisogno di qualcosa di vero…Ci vuole un attimo per dirsi addio”.
Fonte TelevideoRAI
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