Autore Topic: Superare le differenze: talento femminile uguale sviluppo  (Letto 353 volte)

Descrizione:

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline ambarambacicicoco

Superare le differenze: talento femminile uguale sviluppo
« il: Marzo 07, 2012, 08:12:42 am »
Superare le differenze: talento femminile uguale sviluppo
Il lavoro delle donne cambierà il mondo

di Bianca Biancastri

Sono le donne l’asso nella manica delle nazioni più evolute e sono sempre loro la maggior percentuale di forza lavoro agricola nei Paesi in via di sviluppo, nonostante le discriminazioni e le disparità di trattamento. Saper sfruttare la loro energia e il loro talento sarebbe una mossa intelligente e una risorsa insostituibile. Far partecipare le donne ai processi decisionali è uno dei modi per uscire dalla crisi economica e costituisce un’energia potenziale per ogni nazione. Sta però ai governi intervenire per superare le differenze di genere e alla comunità internazionale portare aiuti e premere su quei Paesi nel Sud del mondo perché scelgano politiche di empowerment femminile.

Questa direzione è indicata da diversi studi internazionali. Secondo il rapporto 2010 del World Economic Forum, le donne costituiscono una parte importantissima della forza lavoro e in molte nazioni del mondo sviluppato più della metà delle donne sono laureate ed è fondamentale per le imprese creare un sistema in cui i migliori talenti, sia femminili che maschili, possano essere utilizzati al meglio.

La produttività del lavoro in diversi Paesi aumenterebbe del 25% se si riuscisse ad eliminare le barriere che creano discriminazioni ai danni delle donne sul mercato del lavoro, secondo il Rapporto 2012 della Banca Mondiale sui temi dello sviluppo. Negli ultimi 30 anni, sul mercato del lavoro mondiale si è aggiunto oltre mezzo miliardo di lavoratrici che, pur subendo discriminazioni, sono al centro dei cambiamenti in corso. Secondo l’Ocse, la maggior istruzione femminile, i tassi di fertilità più bassi, la crescente urbanizzazione e i cambiamenti nella composizione settoriale della produzione hanno trasformato la natura della partecipazione femminile al mercato del lavoro anche se gli indicatori mostrano il persistere di importanti discriminazioni che ostacolano le pari opportunità, in particolare a causa delle qualità più che della quantità dei lavori disponibili per le donne. Cambiamenti sono in atto anche in diversi Paesi in via di sviluppo, compresi i Paesi del Nord Africa, dove le diverse aspettative delle donne, oltreché dei giovani, hanno avuto un ruolo determinante nella Primavera araba.

Le donne, poi, continuano ad essere il motore nel settore agricolo nei Paesi del Sud del mondo. Secondo la Fao, rappresentano in media il 43% della forza lavoro agricola nei Paesi in via di sviluppo. In alcuni Paesi africani, come Mozambico e Sierra Leone, la percentuale di forza lavoro agricola femminile supera il 60%. Le donne rappresentano il 48% della forza lavoro agricola in Cina, il 32% in India. L’accesso e il controllo delle risorse, a cominciare dalla terra, è fortemente penalizzante per le donne, che in genere coltivano appezzamenti più piccoli e non ne sono le proprietarie. La Fao stima che, eliminando le differenze di genere, si ridurrebbe automaticamete il numero di persone malnutrite nella misura di circa 100-150 milioni di persone. Inoltre, la capacità produttiva non è separabile dalle condizioni sociali e culturali che danno spesso alle donne tutto il peso della cura e della gestione degli affari domestici.

Nell’ultimo rapporto dell’Ong ActionAid, nonostante il ruolo cruciale che ricoprono nei nuclei familiari rurali, le contadine non ricevono adeguato sostegno da parte delle istituzioni locali e nazionali, né sono riconosciute come soggetti economici. In Uganda, ad esempio, le donne ottengono il 9% del credito agricolo; in Malawi solo il 7% delle donne capofamiglia riceve sostegno alle attività agricole (contro il 13% degli uomini capofamiglia). L’India conta circa 100 milioni di donne Dalit (che significa oppresse), ossia il 16,3% della popolazione femminile e grande parte della forza lavoro agricola del Paese. Solo il 3% di loro possiede la terra. Queste donne vanno a letto affamate oltre a dover affrontare sfide di classe e di genere come “intoccabilità” e violenza sessuale.

Nell’Africa sub-sahariana, la maggioranza delle donne lavora nel settore dell’agricoltura ma la legge consuetudinaria spesso nega alle figlie e alle mogli il diritto di ereditare le terre che coltivano. Nonostante producano dal 60 all’80% del cibo dei Paesi in via di sviluppo, le donne posseggono solo l’1% della terra. La violenza contro le donne accentua la povertà, riducendo la capacità di contribuire produttivamente alla famiglia, all’economia e alla vita pubblica, come in Afghanistan. Qui le donne subiscono oltre alla violenza psicologica e fisica anche quella economica (divieto di lavorare fuori casa, nessun accesso alle risorse economiche della famiglia).

Il potenziale delle donne nel condurre intere comunità fuori dalla povertà è dimostrato, per esempio, dall’esperienza della Commissione per il progresso agricolo in Bangladesh (Brac), che negli anni ha organizzato donne e ragazze, mettendole al centro di una strategia contro la povertà. La Brac promuove programmi di microcredito ed educazione in Asia e Africa, coinvolgendo migliaia di persone e autofinanziandosi per più dell’80%.

GEI 2012, L’EQUITA’ DI GENERE IN ITALIA E NEL MONDO

Dei 154 Paesi presi in esame dall’indice di Equità di Genere pubblicato da Social Watch, alla vigilia della Giornata internazionale della Donna, il peggiore è l’Afghanistan (15) , seguito da Repubblica del Congo (29), Niger (26), Ciad (25), Yemen (24).

In cima alla classifica in Europa e nel mondo, Norvegia, Finlandia e Islanda con 89, 88 e 87 punti rispettivamente. I tre Paesi europei che presentano grandi divari di genere sono Malta (63), Albania (55) e Turchia (45).

L’Italia ha un valore di 70 che la pone nella classifica tra i Paesi con basso GEI. Con tre punti sotto la media europea, che è di 73, il nostro Paese si trova anche al di sotto della vicina Grecia (72), Austria (73) e Slovenia (75), Francia (77) e Svizzera (79). L’Italia è al di sopra dell’Ucraina (69), di Malta (63) e della Bielorussia (64), di Cipro e Georgia (67) e Lussemburgo (68), e nella stessa fascia dell’Armenia (70). L’unica dimensione in cui l’Italia raggiunge un valore accettabile è l’istruzione (99 punti), mentre per quanto riguarda la partecipazione eonomica e l’emancipazione ed empowerment, è molto sotto la media: 66 e 45 rispettivamente (basso e molto basso).

Il GEI, prodotto annualmente dalla rete internazionale di organizzazioni della società civile Social Watch, misura il divario tra donne e uomini in materia di istruzione, partecipazione economica e potere politico. L’indice è una media delle disuguaglianze nelle tre dimensioni. Ad esempio, un Paese in cui uomini e donne hanno pari accesso all’università riceve un valore di 100 su questo particolare indicatore. I membri del Social Watch sono sparsi in tutte le regioni del mondo.

“Nel mondo la situazione dell’equità di genere non è ferma, ci sono stati alcuni miglioramenti in Brasile e in alcuni Paesi del centro Asia. E questa crisi finanziaria potrebbe rappresentare un’opportunità di cambiamento. Come cittadini dovremo muoverci per reclamarla. In Italia, qualcosa comincia a muoversi”, dice a Televideo Jason Nardi, coordinatore di Social Watch Italia. “Sul mercato del lavoro mondiale le discriminazioni continuano ad esserci e vittime della crisi economica sono le donne, che hanno in genere una tipologia di rapporto di lavoro più debole”, aggiunge Jason Nardi.

Fonte TelevideoRAI

L'intellettuale è uno che non capisce niente, però con grande autorità e competenza. (Leo Longanesi)
 


Cliccate il BANNER sopra, sarete di grande Aiuto. GRAZIE !