Autore Topic: Onu, oggi la giornata delle bambine “Basta con le unioni precoci”  (Letto 369 volte)

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Offline ninfea


Spose bambine in India, foto ufficiale della giornata Onu
400 milioni di donne nel mondo
costrette a sposarsi minorenni



Francesca Paci


Malala Yousafzai, la coraggiosa quattordicenne che ha sfidato i talebani ricevendone in cambio una pallottola alla testa, ce l’ha fatta. La notizia del riuscito intervento chirurgico che ha salvato la vita alla ragazzina pakistana “rea” di tenere un diario-denuncia sulla vita nella provincia di Swat controllata dagli studenti coranici, giunge nella prima giornata internazionale delle Bambine lanciata dall’Unicef “per porre fine ai matrimoni precoci e forzati”. Malala parlava anche di questo nelle sue cronache quotidiane, un abuso barbaro ma diffusissimo non solo nel suo Paese. Secondo le Nazioni Unite circa 400 milioni di donne di età compresa tra i 20 e i 49 anni - oltre il 40% del totale - sono state costrette a sposarsi quando erano minorenni.

Le unioni precoci, accusa l’Unicef, significano molto spesso gravidanze precoci e indesiderate che possono portare conseguenze mortali. Almeno 50 mila mamme tra i 15 e i 19 anni muoiono ogni anno a causa della gravidanza o del parto, perchè in quella fascia d’età hanno una probabilità cinque volte maggiore della media di non sopravvivere alla maternità. 

 

Le storie si moltiplicano in tutto il mondo indipendentemente dalla religione, dalla cultura, dalla latitudine. Ma quasi la metà di quante maritate prima del 18° anno d’età è concentrata in 5 Paesi: Bangladesh (2/3 delle neo-spose), Nepal (la metà), Afghanistan (39%), India (29% ma qui ci sono anche 3 milioni di bambine mai nate, scomparse dalla mappa demografica planetaria perché vittime di aborti selettivi), Pakistan (24%). Oggi a New York l’arcivescovo Desmond Tutu porrà la questione ai rappresentanti dell’Unicef, dell’Unfpa e dell’UN Women. Il Malawi si prepara a discuterne in sede parlamentare mentre l’Uganda ha aperto un tavolo di confronto con i giovani attraverso gli sms.

 

Il Pakistan tribale della piccola Malala, che i talebani hanno accusato di diffondere “idee laiche” tra i giovani e venerare Obama, è uno dei santuari dell’infanzia violata insieme al vicino Aghanistan, dove quasi una sposa su due è una bambina mentre il marito ha spesso e volentieri fino a dieci volte tanto la sua età. Poco meno di una anno fa la quindicenne Sahar Gul era arrivata all’ospedale di Kabul in fin di vita dopo essere stata segregata per mesi dal marito e dai famigliari perché riluttante a prostituirsi . Lo scorso maggio Sahar, che ha trovato la forza di denunciare la violenza mostrando ai giudici le cicatrici e le ferite, ha avuto giustizia: tre suoi parenti, in un Paese in cui le vittime come lei sono considerate colpevoli, sono stati condannati a 10 anni di prigione per tortura (il marito risulta ancora in fuga).

 

La prima giornata internazionale delle Bambine vuole essere un megafono per chi non ha voce ma anche per chi, in assenza di strumenti, sta cercando di urlare più forte che può. Malala e Sahar, a modo loro, ce l’hanno fatta. Pochi giorni fa le mamme di Timbuctu hanno portato in piazza anche le figlie per protestare contro gli abusi dei miliziani di al Qaeda da aprile al potere in Mali. Dai campi profughi siriani come quello di Zaatari, al confine con la Giordania, poche coraggiose hanno iniziato a denunciare la pratica del sutra (in arabo “matrimonio di copertura), attraverso la quale i genitori fanno sposare con paganti uomini anziani le figlie, spesso al di sotto dei 14 anni, con il pretesto di salvare loro l’onore. Accadeva già nei campi profughi iracheni alla periferia di Damasco almeno fino a 4 anni fa, quando facoltosi sceicchi del Golfo andavano a scegliersi le più bisognose tra le vergini. In Yemen, patria della premio Nobel per la PaceTawakkul al-Karman, un recentissimo rapporto di Human Rights Watch riporta i dati del 52% delle bambine sposate prima dei 18 anni e del 14% prima dei 15 anni.

 

La globalizzazione accende i riflettori sugli angoli più remoti del mondo ma non ne attenua la violenza. I cambiamenti culturali seguono con estrema lentezza quelli politici, quando per reazione non se distanziano addirittura. Per questo è particolarmente importante seguire cosa accade in Egitto, paese leader della primavera araba e avanguardia della transizione allo sviluppo (o, potenzialmente, pietra tombale di ogni ambizione democratica), dove nei prossimi mesi si discuterà la nuova Costituzione e gli articoli più controversi come l’articolo 29, con il quale gli estremisti islamici del partito salafita Nur vorrebbero abbassare l’età del matrimonio per le donne da 18 a 9 anni. 

                                  
 


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