Il Gip di Bergamo che aveva disposto il sequestro ha già fatto sapere che non mollerà, ma i difensori della Baia sono pronti a battersi contro la censura.
The Pirate Bay sequestro annullato accesso
Tutta la Rete, o almeno quella italiana, ne parla: il sequestro preventivo di The Pirate Bay è stato annullato dal Tribunale del Riesame di Bergamo e ora i provider devono darsi da fare per rimuovere i filtri a suo tempo applicati.
In molti salutano la decisione del Tribunale coma una vittoria tout court, ma guardando meglio l'intera questione ora possiamo aspettarci diversi scenari.
Tanto per cominciare, banalmente bisogna vedere quanto tempo impiegheranno i provider per abilitare di nuovo l'accesso alla Baia. Considerata la solerzia usata per applicare i filtri, teoricamente non ci dovrebbe volere molto per la loro rimozione; in buona fede si spera che solo questioni tecniche motivino un'eventuale lentezza nell'adempimento.
Ci sono poi da considerare le motivazioni che hanno spinto il Tribunale a bocciare l'operato della Procura di Bergamo e che saranno rese pubbliche soltanto tra qualche giorno. Intanto, per chiarire la situazione, occorre conoscere gli attori che hanno permesso la temporanea vittoria della Pirate Bay.
Si tratta di due avvocati che da tempo si occupano di informatica giuridica, Giovanni Battista Gallus e Francesco Paolo Micozzi, e di un esperto informatico chiamato come consulente, Matteo Flora.
Tutti e tre hanno lavorato pro bono publico, ossia gratis. E questo è gia un segnale abbastanza forte: di fronte a un atto che non può essere considerato un sequestro quanto piuttosto una censura, tre professionisti decidono di prestare la propria opera per difendere il diritto dei navigatori italiani di scegliere da sé i propri siti senza pretendere alcun compenso.
La questione copyright, in questo senso, è secondaria: non si tratta di difendere un sito che ospita materiale illegale. Si tratta di difendere un sito accusato di indicizzare anche materiale coperto da copyright ("esattamente come fa Google: che facciamo, mettiamo sotto sequestro pure Google?" ironizza l'avvocato Gallus) dalle velleità censorie di qualcuno.
Queste sono le motivazioni della difesa, ma non è detto - anzi, è decisamente improbabile - che siano anche quelle del giudice che ha disposto il dissequestro.
È molto più verosimile che a convincere il Riesame sia stata la "ricerca certosina di cavilli da avvocati che i magistrali Francesco e GB sono riusciti a rintracciare", per usare le parole che Matteo Flora usa sul proprio sito.
L'avvocato Gallus ha in effetti illustrato l'operato proprio e dei colleghi raccontando come essi abbiano innanzitutto sottoposto al Tribunale questioni di natura tecnica legale: per esempio, il provvedimento non è stato notificato a Peter Sunde, amministratore del sito, violando così il diritto alla difesa.
Inoltre - hanno fatto notare i legali - il pm Giancarlo Mancusi non avrebbe avuto la competenza necessaria per richiedere l'inibizione dell'accesso a un sito che risiede all'estero.
Obiezioni di natura formale, che se uniche aprono la strada a un possibile pericolo: la reiterazione del provvedimento di sequestro. Mancusi, insomma, potrebbe ripresentare il decreto, anche perché non sembra avere intenzione di cedere: "a nostro giudizio" - ha dichiarato al Corriere della Sera - "la violazione del diritto d'autore c'è tutta".
Più sostanziale sarebbe l'accettazione da parte del Tribunale di altre motivazioni portate dai due avvocati di The Pirate Bay: l'impossibilità di sequestrare un sito in mancanza di un supporto normativo adeguato, e la base su cui il sequestro (o censura, come sembra più giusto chiamarlo) è stato disposto.
Tale base, infatti, è data da motivazioni che appaiono deboli: innanzitutto la considerazione del nome Baia dei pirati come una sorta di confessione; in secondo luogo, l'accertamento statistico.
Per accusare la Baia il pm di Bergamo si è basato sulle statistiche di accesso fornite da Alexa, i cui metodi di rilevazioni praticamente tutti accusano di essere estremamente imprecisi se non decisamente lontani dalla realtà.
L'accusa ha utilizzato le 450 mila connessioni provenienti dall'Italia, ricavate dalle statistiche, per evincere (verrebbe da dire: ipotizzare) le violazioni: solo in base a questo è stato disposto il sequestro, non dopo aver trovato delle prove.
Se per inibire l'accesso - spiega l'avvocato Micozzi - si parte non da un reato effetticamente compiuto ma da una "presunzione statistica", allora c'è qualcosa che non va. E poi si tratta di inibizione, non di sequestro; ma dato che il provvedimento parlava di sequestro, siamo di fronte a una irregolarità giuridica.
A questo punto il prossimo passo potrà essere compiuto solo quando il Tribunale renderà note le motivazioni della sentenza di annullamento. Se saranno sostanziali e non formali, l'unica strada per gli accusatori di The Pirate Bay sarà il ricorso in Cassazione, con tempi più lunghi e dopo che è ormai stato stabilito un serio precedente: non è per nulla detto che la Corte accolga le tesi del pm.
Nel frattempo dovrebbe arrivare dal Garante della Privecy la decisione sull'accusa, mossa da Altroconsumo, di aver usato metodi illegali per la raccolta dei dati degli utenti italiani che hanno acceduto (o tentato di accedere) alla Baia dei Pirati.
[ZEUS News -
www.zeusnews.it - 26-09-2008]
